ANNO 14 n° 119
Peperino&Co Come è nata ''la città che muore''
>>> di Andrea Bentivegna <<<
28/03/2015 - 02:00

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Ci fu un giorno in cui le calme acque del lago di Bolsena improvvisamente si innalzarono creando un’onda anomala di oltre tre metri che superò gli argini riversandosi sui campi vicini. Il fenomeno, una sorta di piccolo tsunami, fu causato da una frana che si staccò dalle colline e si riversò nel grande lago.

Eppure la spiegazione va ricercata altrove; quel giorno, l’11 giugno 1695, a pochi chilometri di distanza un forte terremoto scosse la terra, la frana nel lago di Bolsena fu solo un evento periferico, in realtà l’epicentro del sisma fu nella valle dei Calanchi, proprio dove sorgeva Civita di Bagnoregio la cui storia, quel giorno, fu stravolta.

Così come siamo abituati a conoscerlo oggi, questo borgo splendido, appare arroccato su piccolo sperone di roccia, isolato tra grandi e profonde valli dal paesaggio suggestivo, i famosi Calanchi appunto, eppure, all’epoca del grande terremoto, si sviluppava, come tanti altri, lungo una strada, l’odierna Civita era in realtà un quartiere di Bagnoregio e addirittura tra le due contrade sorgeva un convento, quello di San Francesco.

La natura geologica di questi luoghi è singolare, un basamento di argille limose e friabili emersero dai mari alcune centinaia di migliaia di anni fa e furono ricoperte da uno strato di sedimenti vulcanici, questa combinazione di materiali fa si che oggi i processi di modellamento della superficie terrestre siano caratterizzati da una intensità e da una velocità tali da tradursi in un ''paesaggio vivente'', uno scenario unico ma assolutamente precario e instabile.

In queste valli, più che altrove, l’architettura dell’uomo lascia spazio a quella della natura così a distanza di un secolo da quel fatidico 1695 quel paese non era più lo stesso, la strada che lo attraversava era interrotta, il convento scomparso e il quartiere di Civita era divenuto un borgo irraggiungibile e impervio, fu il declino: la gente iniziò ad abbandonarlo e fu da quel momento in poi che venne definita ''la città che muore''

Arrivare a Civita divenne da allora un’operazione tutt’altro che semplice, fu costruito una sorta di camminamento che la congiungeva a Bagnoregio realizzato sopra una sottile sottile cresta argillosa, non differente dai ''ponticelli'' utilizzati fino agli anni ’60 del novecento, questo sentiero poi, in prossimità della rupe, si inerpicava sino alla sommità. In seguito ad ulteriori frane venne realizzato, quindi, un vero e proprio ponte. Questa antica struttura, tra danneggiamenti e rifacimenti, si conservò sino al 1963 quando, per via dei noti fenomeni di erosione, rovinò lasciando il paese, ancora una volta isolato.

Fu allora che si decise di costruire un vero e proprio ponte, moderno, solido e funzionale, inaugurato, non senza contrattempi, il 12 settembre 1965 e che, come un cordone ombelicale, riportò la vita a Civita ricongiungendola nuovamente con il resto del mondo.

Nel 2008 il Comune bandì un ambizioso concorso d’idee per la progettazione un nuovo ponte che si armonizzasse maggiormente con il paesaggio dei Calanchi. La partecipazione degli architetti fu straordinaria e arrivarono ben 78 proposte da tutto il mondo tra le quali venne scelta, in modo sorprendente, quella del architetto Pio Luigi Brusasco che proponeva però un ascensore (un doppio ascensore per la precisione, uno per le persone, l’altro per le merci) che avrebbe condotto i visitatori direttamente nel cuore di Civita.

Al di là delle polemiche, che pure furono feroci, per la scelta che di fatto contraddiceva anche il tema stesso del concorso, e prescindendo delle perplessità che suscitava l’idea di demolire il ponte che, pur con evidenti limiti estetici, ci racconta ancora oggi una storia e che rappresenta la memoria di un collegamento, un tempo naturale, tra due luoghi che oggi appaiono invece lontanissimi, viene da domandarsi, a distanza di sette anni, che ne è stato dei propositi ambiziosi del Comune.

Sì, perché sebbene l’idea del concorso fosse discutibile, quando le priorità per il paese erano ben altre, quell’iniziativa ebbe degli oneri per la collettività. Basti pensare che la commissione giudicatrice costò allora 37 mila euro mentre premi di 10, 5 e 3 mila euro furono appannaggio rispettivamente del vincitore, del secondo e del terzo classificato. E con quale risultato? Nessuno si direbbe: Civita, ''la città che muore'', è sopravvissuta persino ai progetti per il ponte che avrebbe dovuto restituirle la vita.





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